Quando non vogliamo qualcosa è normale irrigidirsi. Immaginate di sbattere involontariamente il mignolo contro lo stipite della porta. È naturale che per un attimo vi irrigidiate, un po’ dallo stupore, un po’ dal dolore. È un processo automatico, un riflesso condizionato. Ma dura solo un attimo. La stessa cosa avviene quando abbiamo paura, o siamo arrabbiati, preoccupati, agitati. Ma perché rimanere contratti dopo quell’attimo che è passato?
Attaccarsi a quell’emozione che ci fa stare male è una nostra scelta. Una nostra responsabilità. Vuol dire mettersi in assetto di guerra, prepararsi a combattere. Resistere.
Ma contro cosa stiamo combattendo? A cosa stiamo resistendo? Cosa esattamente non vogliamo accettare? Quale perdita di tempo ed energia che altrimenti potremmo impiegare per rendere migliore la nostra giornata?
Immaginate di cadere nel fango. Cosa fareste? Probabilmente non sareste felici, ma quale sarebbe la reazione più utile? Mettersi furiosamente a lottare? Non finireste per sporcarvi ancora di più? Non sarebbe allora meglio dire a voi stessi: ok, sono finito qui dentro, ora come posso uscire?
Accettazione o rassegnazione? Se qualcosa è indipendente dalla nostra volontà o dalla nostra influenza, vale la pena di accettare. Spesso facciamo fatica ad accettare perché vogliamo mantenere l’illusione del controllo, così restiamo nel pensiero ossessivo di quello che ci sta accadendo e pensiamo che smettere di pensarci equivale ad arrendersi. Ma funziona davvero? Come possiamo controllare qualcosa che è già avvenuto?
L’accettazione è un’energia totalmente diversa dalla rassegnazione. Accettare significa smettere di litigare con la realtà dei fatti (per esempio il fango in cui siamo caduti) e passare oltre. Ed è solo quando facciamo questo passo che possiamo andare avanti con la nostra vita. Attenzione, ciò non significa che accettare vuol dire avere un atteggiamento passivo nei confronti della vita. E’ esattamente il contrario: le azioni che derivano dall’accettare un evento imprevisto vengono ispirate positivamente, non derivano dalla negatività ma sono costruttive perché generate da uno stato d’animo di equilibrio, pace. Mai in conflitto.
L’accettazione è la presa di coscienza di ciò che è stato, di ciò che è. Non è rassegnazione, sopportazione. Non è mettere un coperchio sopra una pentola che bolle che prima o poi verrà spodestato dal vapore dell’acqua. E’ togliere il coperchio e guardare l’acqua bollire, senza il timore e la frustrazione che l’acqua fuoriesca o il coperchio possa cadere.
Possiamo conviverci con questa confusione, queste paure, ed ogni tipo di sensazione, senza fuggire o chiudere il cuore? Se la risposta è sì, vuol dire che sappiamo riconoscere il tesoro immenso che possediamo, che fa parte di noi. Vuol dire anche un atteggiamento di espansione verso noi stessi e la vita in generale, di apertura, mai di contrazione e chiusura. E dove c’è apertura ed espansione c’è crescita, sviluppo, fioritura. Felicità.
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